Il blog di a Spasso con Elena

Letteratura danese 6 in collaborazione con L'Elogio del Rospo: David Ebershoff

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Questo sesto appuntamento su "La Letteratura Danese" si è fatto desiderare, non è vero? Torniamo oggi ancora più cariche che nell'anno lasciato alle spalle e, piene di entusiasmo, vi dedichiamo una lettura che vi farà trascorrere del tempo di qualità in pace e relax, perché anche questo è quello che cercate leggendo, no? Quest'oggi parleremo del libro "The Danish Girl" dell'autore David Ebershoff, nato a Pasadena (CA) nel 1968. "The Danish Girl" è la storia dello sbocciare di un fiore che per troppo tempo si è sentito intrappolato nel ghiaccio o sotto l'erba. Un guscio protettivo, in effetti, lo aveva, era quello della relazione matrimoniale con Gerda Wegener. Una moglie, una sorella, un'amica, una madre. Tutto l'amore che si può ricevere in vita concentrato in un'unica figura. È grazie a lei che quel fiore si è aperto lasciando dietro di sé una vita trascorsa senza essere fedele a sé stesso. Quel fiore, Einar Wegener, è uscito dalla gabbia che lo nascondeva, e ha intrapreso un lungo processo di trasformazione fino a diventare la ragazza danese che oggi in molti ricordiamo con affetto, Lili Elbe. Il romanzo di Ebershoff guarda indietro di circa un secolo prendendo spunto da questa storia realmente vissuta, inserendovi dettagli e sfumature non appartenenti alla realtà. Oltre che a rivivere le emozioni di Gerda (Greta nel libro) e Einar/Lili, respiriamo l'aria della Copenaghen dei primi anni del 1900, sentiamo l'odore del pesce venduto presso il mercato di Nyhavn, e passeggiamo insieme tra le vie della città indossando delle pregiate calze di seta. Lascio ora la parola ad Alice, che continuerà a raccontarvi di questa meravigliosa storia d'amore e di vita:

ALICE DI L'Elogio del Rospo:

La fine di un anno porta con sé una fisiologica nostalgia. Sarà l'idea che sta dietro al concetto di "fine", oppure l'aver trascorso un anno senza aver portato a termine tutti i progetti maturati nel corso dei mesi passati. O, ancora, il pensiero di non sapere conservare il ricordo di ciò che ci è accaduto. Eppure, ho come l'impressione che la memoria sia comunque qualcosa di solido, di talmente determinato e definito da influire fortemente su di noi. Nel bene e nel male.

Ci sono momenti, però, nella vita di ciascuno che muovono all'abbandono dei ricordi. Sì, perché la memoria di ciò che è stato è così pregna di un dolore che non ci abbandona, che stentiamo a comprendere come sia ancora possibile vivere.

Einar Wegener è scosso da un dolore che ha radici simili. Se ne accorge da solo, un giorno per caso, ed è come se ne soffrisse da sempre senza averlo mai fatto presente a se stesso. Eppure, a volte, si sente bene. Sì, ne è certo: sa di essere stato felice, conosce la felicità che si prova nel tirare un sospiro di sollievo quando si chiama una persona e quella risponde, c'è, torna da noi. Sì, momenti belli ne ha vissuti, Einar, nel corso della sua esistenza ma, soprattutto, ne ha condivisi, e questo è, forse, ancora più importante: li ha condivisi con Greta, sua moglie, e quel suo amore provocatorio ed egocentrico sempre pronto a portarlo in palmo di mano e, poi, con Hans, suo grandissimo amico d'infanzia, in quei giorni ormai lontani, trascorsi nelle periferie della Danimarca occidentale. La bellezza del condividere, però, ha prevalso sulla necessità di guardarsi dentro, per chiedersi chi fosse, quale fosse il vero Einar e che cosa desiderasse per sé. Così, un giorno fa i conti con se stesso, con quella natura che egli ha sottratto al suo autentico cammino ma che con prepotenza e sovversione ha continuato a generare, latente, il seme del suo appello finale. Un giorno, dovendosi misurare con l'urgenza di vestire i panni di un'insigne ballerina per posare per Greta, Einar Wegner, pittore paesaggistico danese dello scorso secolo, si riconosce in Lili, anzi, diventa Lili Elbe.

La storia narrata in The Danish Girl è, dunque, la storia di un'identità in divenire, nel senso più vero e profondo dell'espressione, ossia l'identità di una persona che fa esperienza del sé in un corpo che non ha mai sentito corrisponderle e che, pertanto, è destinata più di chiunque altro a misurarsi con se stesso e gli altri per far emergere e declinare la radice del suo esistere.

Sarebbe troppo semplice e, per certi versi, riduttivo considerare il libro di David Ebershoff un romanzo biografico. Non è né l'una né l'altra cosa. È certamente il racconto di una vita realmente vissuta ma senza la documentazione e il rigore di una biografia propriamente detta. Allo stesso modo, l'aspetto romanzesco dell'opera non poggia tanto sugli eventi, che hanno chiaramente una loro ragion d'essere, ma sui pensieri che la attraversano. Ciò che intendo dire è che in The Danish Girl Ebershoff ha avuto l'ardire di raccogliere, descrivere e rappresentare il turbamento, la frustrazione, il terrore e la gioia di chi scopre e accetta fino in fondo la propria natura, la radice ultima del proprio esistere, e decide di manifestarla, finalmente.

Che Fernandinho è come una figlia

mi porta a letto caffè e tapioca

e a ricordargli che è nato maschio

sarà l'istinto, sarà la vita.

E io davanti allo specchio grande

mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi

tra le gambe una minuscola fica.

Fabrizio De André, Prinçesa, Anime salve, BMG Ricordi, 1996

Con A Spasso con Elena potete esplorare Copenaghen sulle orme di Gerda Wegener e Einar Wegener/Lili Elbe nonché sulle inquadrature del film "The Danish Girl" di Tom Hooper. Vi aspettiamo!

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